“Le avventure di Pinocchio”: una fiaba per bambini?
di
Mario Gaudio
Il fiorentino Carlo Lorenzini (1826-1890), meglio conosciuto con lo pseudonimo di Collodi, è stato autore di una mole di scritti essenzialmente mediocri ma, quasi miracolosamente, la sua penna ha partorito anche un capolavoro della letteratura per ragazzi ‒ e non solo ‒ universalmente noto con il titolo Le avventure di Pinocchio.
La fiaba del celebre burattino fu pubblicata a puntate sul “Giornale per i bambini” a partire dal 7 luglio 1881 e, in seguito, apparve in volume unico nel 1883.
Se ad un primo sguardo l’opera di Collodi sembra destinata essenzialmente alla fruizione dei giovinetti e alla loro educazione ‒ considerata la consistente presenza di massime pedagogiche ‒, un’analisi più accurata ci consente di capire i risvolti più impegnativi che essa nasconde tra le sue pagine.
Le vicende del capriccioso protagonista assumono la valenza di un vero e proprio percorso iniziatico che condurrà un semplice pezzo di legno ‒ misteriosamente dotato di spirito e di parola ‒ a diventare un burattino prima e un ragazzo dabbene in un secondo momento.
Questo passaggio, che ‒ ovviamente ‒ implica una sostanziale evoluzione ed una crescita esperienziale, porta con sé non poche prove e altrettanti sprazzi di dolore: ricordiamo, per inciso, che più volte Pinocchio sfugge alla morte, subisce inganni e affronta pericoli. Tutto questo avviene principalmente a causa del suo carattere bizzoso e irresponsabile, ma ciò non toglie una particolare sensibilità d’animo che lo connota.
L’itinerario percorso dal burattino è irto di ostacoli e costellato di incontri con personaggi straordinari ‒ per l’appunto fuori dall’ordinario ‒ quali la Fata dai capelli turchini, una sorta di guida nell’iniziazione, lo spaventoso Mangiafuoco, la cui commozione si esprime attraverso gli starnuti, e il Pescatore tutto verde che tenta di friggere il malcapitato Pinocchio.
Tali figure eccezionali fanno palesemente da contraltare alla profonda semplicità e umanità di Geppetto che incarna appieno l’amorevolezza di una figura paterna ancora valida e, pertanto, decisamente lontana e diversa rispetto a quella dei nostri tempi.
Non manca, come da antica tradizione favolistica, il complesso di animali parlanti che incarnano le varie e contrastanti passioni dell’essere umano: il Grillo pungola la coscienza dello scapestrato burattino con buoni consigli, il Gatto e la Volpe si mostrano maestri nel raggiro, il cane Alidoro assurge a simbolo della riconoscenza e il Tonno diventa il provvidenziale soccorso dinanzi al pericolo del mare.
Tuttavia, il tema di fondo che alimenta la fiaba di Collodi è quello della metamorfosi. Pinocchio subisce per ben quattro volte un mutamento della sua natura: l’iniziale pezzo di legno diventa un burattino che, nel Paese dei Balocchi, assume sembianze di asino per ritornare, successivamente, allo stato di marionetta ed acquisire, infine, i connotati di un grazioso fanciullo.
L’autore gioca dunque con il topos della trasmutazione che affonda le sue radici nella proverbiale notte dei tempi e trova significativi esempi nella Bibbia ‒ la moglie di Lot è trasformata in una statua di sale durante la fuga da Sodoma (Gen 19, 26) ‒, nell’Odissea ‒ basta ricordare, in proposito, l’episodio della maga Circe che tramuta in porci i compagni di Ulisse ‒ e nella letteratura latina con le celebri Metamorfosi di Ovidio e quelle di Apuleio.
Non manca un significativo tocco cristiano che ci consente di leggere la fiaba di Pinocchio come doloroso quanto necessario cammino verso una redenzione e se, come accennavamo poc’anzi, Collodi richiama un episodio della Genesi, non dobbiamo dimenticare che il passaggio in cui si narra la permanenza del burattino e di Geppetto nel ventre del grosso Pescecane è modulato sicuramente sul racconto biblico di Giona inghiottito dalla balena.
Insomma, Le avventure di Pinocchio trascendono la riduttiva qualifica di fiaba per ragazzi ambientata in una Toscana agricola e senza tempo: Collodi, con semplicità e intuizione, si rivolge, per mezzo del suo burattino, anche a noi lettori adulti e distratti, invitandoci a comprendere i valori della trasformazione e del continuo miglioramento.
Come direbbe il saggio Apuleio: «Lector intende: laetaberis!» (Attento, lettore: ti divertirai!).