23 Dicembre 2024
ArbëriaSaggistica

Le epidemie della comunità spezzanese nel saggio di F. Marchianò

di

Mario Gaudio

Sin dalla proverbiale notte dei tempi, la storia dell’umanità è stata attraversata, alterata e condizionata da svariate epidemie che hanno incisivamente fatto prendere coscienza della caducità dell’esistenza e della necessità di un costante miglioramento degli aspetti igienico-sanitari della società.

Il Covid-19 è solo l’ultimo arrivato ‒ in ordine temporale ‒ di una serie di flagelli che hanno tristemente seminato confusione e morte. Tuttavia, per quanto aggressive, le pandemie moderne devono confrontarsi con una profonda evoluzione delle conoscenze scientifiche che, al giorno d’oggi, possono vantare l’ausilio di raffinati supporti tecnologici posti provvidenzialmente al servizio della salute pubblica.

In questi momenti di incertezza generalizzata in cui – giocoforza ‒ il tempo pare essersi dilatato, una lettura molto interessante è rappresentata dal saggio Spixana e le epidemie del passato (1656-1918) a firma di Francesco Marchianò.

Lo storico arbëresh ripercorre con dovizia di particolari i principali eventi epidemici che hanno coinvolto Spezzano Albanese nel corso dei secoli, colmando una lacuna causata dallo scarso approfondimento del tema sanitario da parte degli studiosi di vicende locali.

L’autore, dopo certosine ricerche condotte tra gli archivi parrocchiali, ricostruisce con realismo momenti cruciali per la comunità spezzanese, strappando all’oblio nomi, date ed avvenimenti rimasti per troppo tempo sepolti nella dimenticanza dovuta al fluire inesorabile degli anni e all’ormai generalizzato disinteresse.

Le pagine del saggio di Marchianò ripropongono, in ordine rigorosamente cronologico, pandemie capaci di prostrare a più riprese una popolazione già fortemente debilitata dal faticoso lavoro dei campi, da una dieta forzatamente ipocalorica e da condizioni igieniche estremamente discutibili.

Si susseguono gli elenchi dei nominativi delle tante vite prematuramente spezzate e interessanti riferimenti ai numerosi medici, cerusici e farmacisti che, pur nella limitatezza delle conoscenze e nella ristrettezza dei mezzi, hanno contribuito ‒ per quanto possibile ‒ a contenere i morbi e a sanare gli infermi.

Il borgo arbëresh è stato attraversato da malattie virulente, ma non facilmente identificabili, nel 1656 ‒ periodo in cui l’elevata percentuale di morte tra i bambini ha indotto l’autore ad ipotizzare una qualche malevola forma esantematica o gastroenterica ‒, nel 1663 ‒ anche in questo caso il morbo, diffusosi già nell’ottobre dell’anno precedente, risultò particolarmente letale per la popolazione infantile ‒ e nel funesto 1852.

Non mancarono, nel corso dei secoli, epidemie di peste (1744), colera (1836-37, 1854-55, 1867, 1911), influenza marcatamente aggressiva (inverno 1833-34), scarlattina (1858) e febbre “spagnola” (1918).

Ogni ondata di contagio provocò inevitabilmente delle vittime e fu accompagnata da quella umiliante mistura di ignoranza e pregiudizio che oggi alimenta la pseudocultura negazionista ‒ arrivata a rifiutare, contro ogni evidenza scientifica, l’esistenza stessa del Covid-19 ‒ e in passato ha innescato vergognose battute di caccia all’untore culminate, nel caso specifico di Spezzano Albanese, con l’uccisione (nel giorno della vigilia di Natale del 1837) del giovane contabile comunale Vincenzo Tarsia accusato di diffondere il colera ed accoltellato da ignoti proprio davanti all’ingresso della parrocchia dei Santi Pietro e Paolo.

Il saggio di Marchianò si conclude con una dettagliata appendice clinica, curata dal compianto dott. Angelo Mortati, sulle principali patologie epidemiche e sulle aree geografiche di diffusione endemica.

La peste manzoniana (immagine tratta dal Web)

La letteratura di tutti i tempi è ricca di testi che raccontano l’eterna lotta dell’Uomo contro improvvise e fatali pandemie: il Decameron di Boccaccio, il Diario dell’anno della peste di Defoe, I promessi sposi e La storia della colonna infame di Manzoni, La morte a Venezia di Mann, Viaggio al termine della notte di Céline, La peste di Camus, Diceria dell’untore di Gesualdo Bufalino, L’amore ai tempi del colera di Gabriel García Marquez sono soltanto poche ed illuminanti voci di una bibliografia sterminata sul tema, in grado di farci assaporare sensazioni e paure trasfigurate dall’arte della scrittura.

Tuttavia, in tempi di concreta manifestazione collettiva della malattia, per gli appassionati di cultura arbëreshe la lettura del saggio di Marchianò diventa quasi doverosa, al fine di instaurare un costruttivo confronto con il passato e di carpire quegli insegnamenti che da esso ci provengono per poter vivere al meglio la triste realtà epidemica che la Storia di questi mesi ci ha costretto a sperimentare di persona.

Con le mie poche note dedico un pensiero a medici, infermieri, operatori sanitari e farmacisti che combattono ogni giorno eroicamente in prima linea contro il Covid-19…