23 Dicembre 2024
Letteratura

Disinganni e speranze nei versi di Agatina Maiurano

di

Mario Gaudio

Una delle illusioni più infide, generate ed alimentate dalla società capitalistica, consiste nell’edulcorare il tema del dolore, seppellendo sotto strati di merci e consumismo difficoltà esistenziali che, da sempre, hanno accompagnato la traviata storia dell’umanità.

Manipoli di grafici e pubblicitari si affannano ad imbellettare la realtà, costruendo mondi d’apparenza che scorrono suadenti e colorati tra le pagine del web e i canali televisivi: immaginarie classi di alunni ‒ inopportunamente ordinate ed immuni dalle vivacità e dagli schiamazzi della giovinezza ‒ posano a favor di camera, mostrando la bontà dell’ultimogenita merendina industriale; famigliole sorridenti si ritrovano sotto i riflettori per magnificare improbabili colazioni mattutine rigorosamente esenti dalle inquietudini passate e venture della giornata lavorativa e obbligatoriamente aperte ad uno scodinzolante animaletto domestico che, alla stregua della prole, si avventa allegro su prodotti scrupolosamente etichettati come biologici e italiani; atletici settantenni si prodigano in urbane maratone grazie all’azione di unguenti medicamentosi a cui adeguate simulazioni computerizzate attribuiscono il potere di penetrare fin quasi dentro le midolla.

Insomma, il dominio della sembianza imperversa nel postmodernismo, instillando fumose certezze all’abitante di collettività sempre più liquide in cui, more solito, si tenta di esorcizzare i problemi, il male e persino la morte per mezzo di un massificante ricorso alla superficialità e all’immagine di un finto e relativo benessere.

Tale logica, imperante e preoccupante allo stesso tempo, viene frantumata dai versi di Agatina Maiurano che, benché semplici e affatto avvezzi alle tradizioni della metrica, riportano al centro della riflessione la vita ‒ nelle sue molteplici sfaccettature ‒ e i sentimenti più genuini.

L’estenuante prova della malattia e la perdita prematura di un figlio hanno reso granitica la tempra dell’autrice che, ricorrendo alla poesia, porta avanti un’azione di progressivo disinganno consistente nella rivalutazione oggettiva della dimensione della sofferenza.

Attraverso il silenzio, brillantemente definito «rumore dell’anima» (Il silenzio), e i ricordi ‒ «Che potere hanno i ricordi! / Possono regalarti un sorriso o un eterno rimpianto, / comunque ti fanno sentire vivo» (Il ricordo di un sorriso) ‒ la Maiurano compie un personale percorso di catarsi che, partendo dalla commovente ricerca di un’immagine cara che va progressivamente sbiadendosi ‒ «Cerco tra la gente il tuo volto ormai lontano» (Ti cerco) ‒, approda ad un’esortazione che assurge quasi ad armonica regola del buon vivere («Trasforma i tuoi veleni in miele / e camminerai nell’aria», Uomo). Il risultato di questo itinerario psicologico-letterario è un profondo senso di gratitudine che assume dimensioni cosmiche ed è corroborato costantemente da una fede che fornisce lume e consiglio anche nelle vicissitudini più intricate ed amare.

Nei tristi giorni in cui la morte pasteggia famelica sui disumani campi di battaglia ucraini, il volumetto di Agatina Maiurano ci offre un messaggio di speranza. Basta ciò per renderne necessaria e costruttiva la lettura.