Tre storie e mezza e una richiesta
di
Ettore Marino
Prima storia. Inghilterra, pochi anni prima dello scoppio della grande guerra. Lord Guildroy (così mi pare che si chiamasse e così tento di scriverlo) è un giovane e sensibile proprietario terriero. Lavora per lui un contadino di cui non ricordo affatto il nome e che pertanto chiamerò Queltale. Guildroy ama, riamato, una dolcissima ragazza bionda. Sposa invece una bruna: fascinosa nervosa misandra. Una volta che tenta di baciarle la nuca, lei lo allontana con impeto rabbioso. Neanche di lei ricordo il nome. La chiamerò pertanto lady Nonbaciarmi. La guerra scoppia, e lord Guildroy e Queltale sono mandati a combattere in Francia. Queltale è rispedito a casa in preda a un’atroce nevrosi di guerra. L’affetto della moglie e le cure dei medici lo riabilitano quel po’ che basti a tornare al carnaio. Vi sarà ucciso. Guildroy, più fortunato, è soltanto ferito a un ginocchio. Gliene deriverà una lieve perenne zoppìa. Lady Nonbaciarmi, suffragetta e pacifista, raggiunge il fronte per fare da infermiera. Vi troverà la morte. La guerra è vinta. Guildroy ritorna a casa. Torna a incontrare l’antico suo amore. La passione, stavolta, ha giusto compimento.
Seconda storia. Londra, anni Trenta del Millenovecento. Un uomo di mezza età, che vive ai limiti del barbonaggio, trova su una panchina una splendida bambola. Se ne impossessa. Non visti, due loschi tipi osservano la scena. Si dileguano quindi tra gli alberi del parco. Il barbone ripone la bambola nel tugurio in cui abita, e va alla bettola a bere un whisky. Il bettoliere bara sul prezzo, ma il barbone lo smaschera con vigile e composta ironia. Tempo dopo legge sul giornale un succulento annuncio: nel tale parco una bimba ha smarrito una bambola fatta così e così; chi mai l’avesse trovata è pregato di portarla al tale indirizzo; sarà ricompensato con la tal cifra di sterline. Anche i due loschi tipi hanno letto l’annuncio, e stanno sul chi vive nella speranza di incontrare il barbone. Lo scorgono infatti attraversare il parco con la bambola in mano, e prendono a seguirlo con chiarissime tristi intenzioni. Lui s’accorge di loro. Raggiunge la destinazione: è una dimora signorile, circondata da un alto recinto. Suona al cancello. La madre della bimba lo accoglie con affabile grazia. È una donna ancor giovane e bella. I due conversano, conversano a lungo. L’uomo palesa saggezza, bontà, padronanza assoluta di lessico e concetti. S’accorge a un tratto d’un quadro appeso alla parete. Ne individua a un’occhiata l’autore, muove rilievi critici pertinenti. Per un attimo, la dama cui la vita sorride e il rudere che la vita ha sospinto, chissà come e perché, ai margini dell’umano consorzio, comunicano, lieti, in uno stato di parità perfetta. Ma è l’ora ch’egli se ne vada, e la dama, che lo ha ricompensato col gruzzolo promesso, gli chiede se abbia bisogno di altro. Lui la prega d’essere accompagnato a casa dall’autista. Dai vetri del finestrino saluta con un cenno di triste derisione i due loschi tipi che lo hanno atteso un po’ oltre il cancello.
Terza storia. Stati Uniti d’America, in sul finire del diciannovesimo secolo. Un laido giudice corrotto è solito inviare quanti più può tra colpevoli e innocenti a lavorare in una miniera di sua proprietà, incatenati a due a due, e sotto l’occhio di un sorvegliante che si rivelerà assai meno sadico di quanto non appaia, giacché fornisce ai protagonisti del film, tra i quali è un povero malato di mente, alcuni candelotti di dinamite che essi useranno per isolare l’entrata della galleria meno profonda. Raspando come talpe, tenteranno di aprirsi un cunicolo che li conduca alla salvezza. Hanno una torcia sola, e scavano verso l’alto, assetati di aria. La fiamma s’affiochisce di istante in istante, forza e speranza cedono, finché lo psicopatico, per impeto rabbioso, sommuove sassi e terriccio, l’aria ridà vigore alla fiamma ai tendini ai polmoni, e un cielo generoso di stelle infonde loro certezza che l’incubo è finito.
Frammento di storia. Stati Uniti d’America, anni Settanta del Millenovecento. Una coppia di ricchi pensionati suole trascorrere le vacanze estive in un incantato paesello. Tutti sono gentili, umani, premurosi. È soave ai due vecchi scambiare chiacchiere e sorrisi con i baristi, col meccanico, con la padrona del drugstore. Soave ancor di più passare il tempo in compagnia dei benzinai, giovane coppia sposata non da molto e in evidente attesa d’un nascituro. L’estate passa, l’anziana coppia fa i bagagli e, dopo un giro di saluti, s’allontana lasciando rimpianto e certezza di ritorno, l’estate che verrà. Prima di giungere in città, balena a entrambi il desiderio di tornare al fatato paesello a trascorrervi pure il mese di Settembre. E vi tornano, infatti: ma tutti, proprio tutti, si mostrano scorbutici e villani. Fingono addirittura di non riconoscerli. Il benzinaio arriva a minacciare di percosse il vecchio, colpevole di aver sorriso troppo a lungo alla sua giovane consorte. Qui bussarono all’uscio. L’uscio di casa mia, intendo. Corro ad aprire: è una famiglia di parenti. Li fo accomodare in salotto, ho già avvisato i genitori, mi trattengo un pochino con gli inattesi ospiti: parenti, ho detto, ma rompicazzo neanche un po’. I miei compaiono, torno alla TV, ma il telefilm è già finito. Perché quel bieco mutamento d’animo in un villaggio già tutto gioviale? Ci ripenso, talora, e me lo chiedo invano.
Tutto quanto narrato avevo seguito per TV nei primi, primissimi anni Ottanta. La storia di lord Guildroy era sceneggiata a puntate; le altre, un episodio singolo. Compongo queste righe in un algido pomeriggio di Gennaio del 2022. Non ho dormito bene, e un’ossessione mi dondola nel cranio. Ma di ciò poco importa. Quando codesto scritto sarà pubblicato, amiche e amici, lo invierò, come sempre, ad ognuno di voi per quella angelica diavoleria che ha il buffo nome di WhatsApp. Chi sapesse qualcosa delle storie che ho squadernato: regista, titolo, eventuale fonte letteraria, eccetera, è caldamente pregato di fornirmelo: è ovvio, per WhatsApp.
Sto per chiudere. Immagino che quando leggerete queste mie parole sia già primavera inoltrata. La furiosa speranza che la peste sia allora defluita mi fa battere il cuore. Possa averci lasciati per davvero! Con ciò, vi abbraccio tutte e tutti!