La lezione di Rasmussen
di
Mario Gaudio
Sebbene passato a miglior vita nel 2009, l’etnologo Holger Rasmussen (classe 1915) continua ad offrirci una lezione importantissima: una visione schietta e oggettiva della realtà del Meridione.
Lo studioso danese, visitando a più riprese la Calabria e la Basilicata nel biennio 1953-1955, ci ha lasciato un quadro estremamente significativo delle condizioni di vita delle popolazioni locali, raccontando situazioni – vagliate scientificamente e scevre da qualsivoglia condizionamento politico o ideologico – la cui rilettura polverizzerebbe all’istante due fastidiose forme di meridionalismo contemporaneo: quello neoborbonico e commerciale di Pino Aprile, basato su una esposizione acritica e non obiettiva dei fatti storici; quello ideale ed inefficace di Franco Arminio che, per quanto espresso in uno stile gradevolissimo, pecca di ingenuità, additando la poesia come unica soluzione per l’eventuale resurrezione dei nostri borghi ed ignorando incautamente l’endemica carenza di strutture ed infrastrutture su cui il buon senso consiglierebbe di agire.
Rasmussen ci insegna cosa è stato il Meridione pochi decenni addietro e porta avanti la sua competente narrazione attraverso lo sguardo acuto del ricercatore e l’animo stupito del viandante.
Paesi e campagne del Sud ci dona uno spaccato di vita quotidiana fatto di immensi sacrifici compiuti da gente silenziosa e tenace, ignorata dalle istituzioni, incapace di concepire una visione di mondo al di là dei confini del paesello natio e costretta a legare il proprio destino alla terra e al duro e incerto lavoro dei campi.
Tra le pagine si susseguono scene di solidarietà nate dalla necessità: il forno comune diventa non solo strumento di panificazione, ma anche di amicizia; il comparaggio rituale – simboleggiato dallo scambio di un bambolotto (Puleju nel dialetto di Sartano, località presso cui l’etnologo registra tale cerimonia) costruito con erba e ricoperto di cenci ‒ si trasforma in impegno di vicinanza e di reciproca assistenza; l’utilizzo di un’unica aia per la battitura delle spighe diviene una sorta di festa rusticana.
Tuttavia, oltre questi legami, regna la miseria: mulattiere pietrose e dissestate, condizioni igienico-sanitarie spaventose, analfabetismo, superstizione e pregiudizio.
Difficili da metabolizzare sono le descrizioni dei Sassi di Matera – all’epoca non certo Capitale Europea della Cultura – e delle famiglie ammassate all’interno di ambienti malsani adibiti al contempo ad abitazione e stalla.
Rasmussen fa riflettere. Ci conduce in un mondo che, fortunatamente, non c’è più, ma di cui qualcuno sente stranamente nostalgia e qualche altro pensa addirittura di riproporre come antidoto contro l’imperante tecnologia pur sapendo che le regressioni, nell’inarrestabile corso storico, non hanno partorito mai nulla di positivo.
Paesi e campagne del Sud è un libro che fa male, poiché ci costringe a guardare una realtà priva di filtri, tratteggiata in maniera verista ‒ ovviamente senza nessuna velleità letteraria –, le cui tracce sono tuttora visibili tanto nel paesaggio quanto nella rassegnazione serpeggiante negli occhi della gente.
L’ascoltare in pubblici consessi le sempre più avvelenate invettive contro l’Unità d’Italia, l’antistorica esaltazione del malgoverno borbonico e la santificazione delle masnade brigantesche ‒ trasformatesi, senza alcun criterio razionale, da torme di pericolosi criminali armati in truppe patriottiche di combattenti per un non meglio precisato concetto di libertà ‒ è diventato ormai un fenomeno frequente, ma ciò equivale al negare spregiudicatamente le testimonianze di Rasmussen e dei tanti viaggiatori (Henry Swinburne, Alexandre Dumas, Horace de Rilliet, Norman Douglas) ‒ che, a differenza degli storici, non possono certo essere ritenuti di parte ‒ i cui scritti hanno impietosamente fotografato l’arretratezza del Mezzogiorno.
Pertanto, per buona pace di quanti abbracciano raffazzonati meridionalismi, Paesi e campagne del Sud può essere un ottimo punto di partenza per acquisire la consapevolezza necessaria ad identificare con onestà intellettuale e coraggio i veri obiettivi da raggiungere per superare l’annosa “questione meridionale”.
La Storia ci insegna che, al di là dello sventolìo di bandiere e stemmi, i territori si valorizzano con cultura, legalità, investimenti ed infrastrutture: facciamone tesoro!