23 Dicembre 2024
ArbëriaSaggistica

La Vergine delle Grazie nel nuovo studio di Cesare De Rosis

di

Mario Gaudio

La scultura policroma della Madonna di Spezzano Albanese è il recente, ultimo ‒ a detta dell’autore, ma auspichiamo che così non sia ‒ studio di Cesare De Rosis sul simulacro mariano venerato nella ridente cittadina d’Arbëria.

L’essenza del volumetto, per quell’implacabile legge in virtù della quale gli scritti son frammenti d’umanità impressi su carta, non può essere compresa se non alla luce dei tria corda dell’autore stesso che, forte della sua triplice condizione di sacerdote, storico dell’arte e nativo della comunità, approfondisce la ricerca sul tema, spaziando con un’ottica esperienziale più vasta ed empatica verso il territorio e le sue tradizioni.

Certamente non nuovo a tale genere di indagine ‒ i primi scritti in proposito son datati 2004 ‒, De Rosis conduce il lettore sull’accidentato percorso della Storia, ricostruendo passaggi poco chiari per mezzo di un’adeguata documentazione e non dimenticando di raccontare le vicende degli albori, lì dove il dato storico, la fantasia popolare e l’umile devozione si fondono in una mistura indefinita e indefinibile che addita nel ritrovamento casuale della statua in mezzo alla sterpaglia l’origine del locale culto mariano.

Tuttavia, al netto del topos del rinvenimento, emerge dalle pagine del volumetto il fervore commerciale e sociale dell’intera vallata compresa tra i fiumi Crati ed Esaro in età tardomedievale e l’importanza di un movimento migratorio monastico che spinse un gruppo di Agostiniani della vicina Terranova da Sibari a fondare in terra di Spezzano un cenobio intitolato a san Giacomo.

Proprio a quest’epoca si fa risalire il simulacro della Vergine ‒ la datazione è collocata al XIV secolo ‒ e la semplicità dei materiali utilizzati (mattoni crudi di paglia e fango, cannucce palustri e malta) pare confermare questa ipotesi e rispecchiare l’umiltà del tenore di vita delle locali popolazioni contadine e dei solerti religiosi di sant’Agostino.

Non manca una interessante serie di confronti tra la statua spezzanese e simili rappresentazioni scultoree sparse per l’Italia ‒ è il caso della Vergine con il Bambino di Domenico da Tolmezzo presente nella chiesa di S. Maria a Borgnano (Friuli Venezia Giulia) ‒ e per il mondo (si segnala, ad esempio, la significativa affinità con la Vergine di Escornalbou in Spagna).

Come giustamente rilevato nella brillante prefazione di Lorenzo Coscarella, la Madre di Dio è uno dei soggetti più rappresentati nella storia dell’arte di tutti i tempi e ciò, unito alla fede, ha indotto gli emigrati di Spezzano a portar con sé le vestigia del culto nelle terre d’approdo e a dar sembiante concreto alla devozione attraverso la realizzazione di sculture molto simili a quella lasciata in terra natìa (si veda la Madonna delle Grazie di Bristol).

Gli occhi del Bambino in grembo alla Patrona della cittadina arbëreshe si fissano su un punto lontano e imprecisato. A noi, frastornati figli di questi tempi incerti, piace pensare che essi siano puntati su un futuro gravido di speranza, ma non dimentico degli insegnamenti di un passato carico di valori su cui l’opera di De Rosis apre uno spiraglio.