Medaglie e prismi
di
Ettore Marino
Mai avevo concorso a un premio letterario. Mi son rifatto nel giro di poche settimane: col “Francesco Graziano” a Cosenza (15 VI 2023) e con l’“Agostino Ribecco” a Spezzano Albanese (2 VIII 2023). Il “Graziano” contemplava quattro sezioni: singola lirica, singolo racconto, raccolta di liriche, romanzo. Come usa alle Olimpiadi, al Tour de France, e in cento altre manifestazioni sportive, un podio tripartito (oro, argento, bronzo) gratificava i vincitori, sezione per sezione. Oltre ai premiati, c’erano pure i menzionati, sì che dire di tutti è impossibile. Mi limito dunque a riportare, con il permesso della Casa Editrice ilfilorosso, madre ubertosa del Concorso, il brano d’apertura del poemetto che, nella sezione della lirica solinga, fu premiato con l’oro. Di Andrea Napoli, dunque, Dall’entroterra: “Sebbene si dicano molte cose, i morti rassomigliano ai morti; / meno ai cingolati, alle orchidee o alle macchie nere / che compaiono al sole. Sopra le città invernali / un ritaglio di cielo bluastro precipita sul balcone dei presenti, / la dea della balalaika annuncia lo scoppio della guerra, / poi si scopre che la guerra è già avvenuta ed avviene tuttavia. / Adesso che anche la regalità è senza garanzie, / salvo il fatto che più in là è una casa nuova ed è un quartiere / buio e non sappiamo se è reale, approfittiamo. / Se non avessimo percorso km di strade dove nessuno passa, / penseremmo che neanche noi ci siamo, / come il ragazzo che chiudendo gli occhi è convinto di sparire. / Il sesso ha scelto per noi un nome dal calendario, / un giro solubile di soluzioni, un terzo piano senza ascensore / ed un letto scigato che gli sia d’accanto, / tra la notte e il giorno. Ciascuno ha almeno un occhio buono, / come tu stessa puoi notare, e al riparo aspetta / di adagiarsi in consolanti fossati d’abitudine, o che il plotone / che ha mirato starnutisca, nel frattempo. / Ripetiamo, in conclusione e con estrema onestà: / per masticare meglio ci vogliono i denti, anche se fanno male. […]”
In equa compagnia con Serena Cavallini, autrice di Lunedì di Pasqua, fu fregiato d’argento Ettore Marino, che concorreva (buffo è dire di sé alla terza persona!) con Dopo di te: lirica breve, che riporterò tutta: “La cosa è sempre troppo oltre. L’io / è un al di qua, gattino / che invidia le zampe sue stesse. / Non fu mai glabro / il mondo: è lama di rasoio / lungo una guancia ispida. / La rosa che declina / troverà grazia in braccio al suolo, tu / nell’eco di un sorriso. Idolo mai / rese felice l’idolatra. / Cosa fa un re nel cuore della notte? / Quale sogno lo sogna? / È sempre l’ora che precede l’ultima, / sempre l’istante prima dell’istante / che dimenticherai. / Il nubifragio d’ogni vanità / incorona il buffone / di corte, il re si desta / nel sogno del buffone, la liana / cui t’abbrancasti è appesa in cielo, un picchio / vi dà di becco, il tuo fratello è troppo / ligio alla legge, e non ti pagherà / nessuna multa, lei che ami ama / Santa Romana Chiesa più di quanto / non ami te.”
Le liriche e i racconti che più piacquero sono comunque raccolti in un volume avente a titolo Sogni di terre perse dentro l’acqua. Su due soli racconti zampetterò qualche nota. Sono i soli che lessi, ammaliato dai titoli. Il primo è Una perfetta proporzione matematica, di Ilina Sancineti, secondo nella sua sezione ex aequo con Legittima difesa, di Lella Buzzacchi; l’altro, che ebbe mera menzione, s’intitola Caporal Tabacco, e venne fuori dal calamo di Salvatore La Moglie. Una perfetta proporzione matematica mette sul foglio un mulìebre io narrante, uno stanco consorte, un gatto rosso, un tarchiato saccente edicolante. Nell’io che narra montano l’ansia e il vuoto: ora enunciati, ora riverberati per brevi e sapidi correlativi oggettivi. Ogni attimo è sospeso. L’io ha un nome: Iris. Lo sapremo da Marco, invocato e salvifico amico della remota infanzia. La lingua è eletta, le immagini dense, la reticenza è magistrale. Caporal Tabacco si situa sul versante opposto. Nasce da un parlato che l’autore, volontariamente, non sublima tutto nello scritto. Una pacifica cornice d’altri dì chiude l’andare d’una fiaba: una fiaba paurosa, che avvenne e non avvenne in un un tempo remoto, in un borgo lontano. Dramatis personae: la donna-mostro e il valentissimo caporal Tabacco. Prevarrà il Bene? Prevarrà il Male? Non molesta, benché troppo apertamente enunciata, la morale che manda i bimbi a letto.
Altra cosa il “Ribecco”. Potevano concorrervi solo liriche brevi in lingua albanica. Tre i premiati anche qui, ma nessun podio. L’insieme delle liriche divenne infatti un solo raggio luminoso che il prisma degli esaminatori franse in tre bande cromatiche. Ogni banda incarnava una precisa virtù scrittoria, rappresa in questo o quel componimento. Nessun componimento poteva aspirare a un doppio e men che meno al triplo premio. Tre i vincitori, dunque: parigrado, e per virtù diverse – e cioè per: A) Competenza linguistica; B) Contenuto; C) Comunicazione. Per competenza linguistica vinse Ike (Fuggisti), di Ettore Marino (ancora io…); per contenuto fu premiata Jam (Sono), di Tommaso Campera; per comunicazione, Vatra (Il focolare), di Cosimo Scaravaglione. Con il permesso degli autori e degli organizzatori, riporto non già i testi, bensì le traduzioni che gli autori stessi dovettero fornire nell’atto di iscriversi al concorso; e ciò, sia per tirannide di spazio, sia perché il testo albanico costringerebbe la maggior parte degli arbëreshë cui questo scritto capitasse in mano a fingere di aver capito ciò che avrebbero finto di aver letto.
E dunque: di Ettore Marino, Ike (Fuggisti): “Senza parola colpevole, / senza sguardo falso, / sparisti, ti smarristi / come foglia dall’albero; / se abbraccio te / abbraccio vento; / donna, in questo petto / edificasti solitudine. // Chi sappia perché il gatto e il cane sono nemici; / chi sappia ove si cela il vento quando non soffia; / e perché il sogno nidifica nel sonno; / e perché la nube si fa pioggia e la pioggia rivolo: / egli solo sa perché fuggisti. / Giacché fuggisti, donna: / fuggisti, fuggisti come la luce che con rabbia / s’avventa sugli oggetti, li mostra, e vi rimane. // Fuggisti, e sei luce, / luce spalmata ovunque, come un velo; / sei la pelle del mondo, e la mia morte. / Sei la mia morte, donna: / io, che ti volli, e volli per me solo.”
Di Tommaso Campera, Jam (Sono): “Io sono il vento / che dal monte soffia in primavera / e sono la tenebra della notte in cielo / dove danza e splende la stella. // Sono le pietre / che lentamente costruirono le mura / e sono la quiete giù in cantina / dove sta bevendo e ride il paesano. // Sono la falce di ferro / che per un pezzo di pane taglia il grano / sono il falco che nel cielo vola: / ‘Chi sei tu, che laggiù passi?’ // Sono il tempo eterno / che predice la vita gioiosa / e sono il passato ed il ieri: / sono il futuro, sono il domani. // Sono colui che venne dalla Morea / che qui costruì una nuova vita / su di un legno… mi portò il destino: / parlando la lingua del padre. // Colui che venne in terra straniera sono / ma i sogni non li ho spenti / ho ricamato le speranze estirpando rovi; / con i pantaloni, sulle ginocchia, lacerati. // Io sono il giovane cinquecentenario / tra due patrie l’anima divisa / sono l’uomo che viene dal tempo passato / un arbëresh, che il tempo, non ha dimenticato.”
Di Cosimo Scaravaglione, Vatra (Il focolare): “Se qualche volta dovrò trovare riposo da questa vita così dura / che mi toglie il respiro e mi lascia come morto / verrò a fermarmi nella tua casa / dove grande e maestoso mi si apre… il Focolare!!! // Davanti al fuoco caldo come il sole / sdraiato sopra una sedia rotta / voglio diventare cenere e brace / per bruciare come paglia questa solitudine! // Perché il focolare è una favola antica / che ci raccontava la nonna quando (fuori) pioveva / e che ti riempiva di dolcezza / quando avevi il cuore triste e malato… // E il focolare è come un padre / che ti protegge dalla cattiveria / che entra dentro casa / quando sei solo senza compagnia! // E il focolare… È come il tempo passato / la radice che ti viene a salvare / quando più forte la vita ti colpisce / e tu non sai più da dove vieni!”